LA MORTE – Patrizia Bocchia

Dove sono finito? Attorno a me, le mura di un palazzo risplendono di oro e cristalli. Non ricordo come sono giunto in questo luogo. Avanzo lungo il corridoio e mi guardo intorno. Vedo tende rosse, ampie e che carezzano il suolo. Vedo mobili eleganti che sorreggono fiori in vasi variopinti. Vedo un pavimento lucido, in marmo bianco. I quadri appesi mi fissano e le gambe iniziano a tremarmi. C’è qualcosa di diverso in questo posto. «C’è qualcuno?», domando senza ottenere risposta. Passo dinnanzi ad uno specchio e qui mi arresto appena intravedo la mia figura. Sto indossando delle vesti eleganti, pregiate. Com’è possibile? Io sono povero. Apro le dita delle mie mani e le fisso. Il mio sguardo viene catturato dall’anello d’oro e i gemelli splendenti del mio abito. Inizio a sentirmi inquieto. Chi può esser così altruista con un senzatetto? Vuole qualcosa in cambio, ne sono certo. Poi i miei occhi si posano su un bastone in completa armonia col mio abito scuro. C’è una piccola incisione in oro, quindi decido di leggerla. “Kevin”. Kevin? Mi spavento così tanto da lanciarlo lontano da me. Il suono del bastone riecheggia in tutto il palazzo. Io mi chiamo Kevin. Sono io Kevin! Inizia a non piacermi questa situazione. Decido però di rimettere a posto l’oggetto. Mi sentirei sgarbato in ogni caso, essendo io l’ospite di quella dimora. Cerco di respirare piano e di calmarmi per continuare ad avanzare. Più avanti c’è un’arcata di oro massiccio che mi apre la vista su una sala di sconfinate dimensioni. Entro ma non c’è nessuno. C’è qualcosa però che cattura la mia attenzione: uno specchio. È stato messo proprio al centro della stanza e mi chiedo perché. È una sistemazione inappropriata. Mi avvicino con curiosità e lo osservo nella sua bellezza. Noto che la cornice, dorata e lavorata da mani d’artista, è bloccata nel marmo. L’accarezzo e ne sento assuefatto. Quello specchio mi sta richiamando a sé.
«Non siate frettoloso, Kevin.»
Mi volto sentendomi chiamare. Non avevo notato quell’uomo, prima. Ha un’eleganza che supera l’abito che sta indossando. I suoi gesti, il portamento… Deve essere senz’altro l’uomo di casa.
«Lei mi ha portato qui?» Chiedo ingoiando della saliva che si blocca nella mia gola.
L’uomo ha una lieve risata. «No. Lei è venuto da solo.» Spiega con raffinatezza.
Non capisco, sono confuso. E l’uomo deve averlo compreso dal mio volto.
«Lei è morto, Kevin.»
M-morto? No. Non è possibile. Io devo tornare da Helena, Betty e Jack. La mia famiglia ha bisogno di me.
L’uomo mi posa la mano sulla mia e vedo che, il bastone di prima, ora è stretto nel mio palmo. Improvvisamente i ricordi appaiono nella mia mente come frammenti veloci della mia anima. Vedo la mia amata Helena e i nostri momenti migliori e peggiori. I baci, le carezze, i litigi e lo sfratto. Vedo i miei bambini: Betty e Jack. Due creature meravigliose dal destino crudele. Non meritavano di finire sulla strada. Sento le loro voci, i “ti voglio bene, papà”, le risate e i pianti. Una lacrima scende silenziosa sulla mia guancia e io non la nascondo.
«Li sto abbandonando.»
«Lei non li sta abbandonando, Kevin. La sua famiglia se la caverà, si fidi di me.»
«E come posso fidarmi di uno sconosciuto?»
«Oh, Signor Hussain Kevin. Lei mi conosce molto bene, in verità, ma non potevo presentarmi prima. Non sarei stato un ospite gradito, né una presenza benevola.»
Lo ascolto, temendo di star capendo quelle parole.
«Sono le ali nere della notte. L’abbraccio freddo che ti porta lontano. L’ultimo respiro e l’ultimo amico.»
La morte, penso. E come se il mio pensiero potesse essere udito, l’uomo sorride e mi allunga un cappello a cilindro.
«Ecco a lei. Ora è pronto per andare.»
Lo afferro per un’estremità, titubante. «Cosa mi rende degno di tale eleganza?»
Le azioni che ha compiuto quando era in vita. Non sono i soldi a rendere un’anima di rara bellezza, bensì il cuore. E lei, Kevin, è stato un uomo di tutto rispetto.»
«La ringrazio.» Dico sinceramente.
Guardo lo specchio, indosso il cilindro e sento La Morte che mi osserva, fiera di me, mentre avanzo verso il mio ultimo cammino. Helena, amore mio, sii forte e accompagna i nostri bambini verso un destino migliore. Ti aspetterò ma non con impazienza. Addio.

L’autrice Patrizia Bocchia

 

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